Valentina aveva un cavolo tra le mani. Grande, verde brillante e croccante: l’ultimo dell’immensa distesa piantata da Gianfranco.
A turno, ci si passava il cavolo come fosse una patata bollente e ognuno, mischiando ricordi e fantasia, donava il proprio contributo narrativo.
“C’era una volta,in un paesino dell’entroterra abruzzese di nome Civitaretenga, un anziano signore che con cura e dedizione raccoglieva i semi dall’ultima pianta di cavolo per dargli vita in una nuova distesa di terra…”
“[...]a mezzogiorno, Agnese, accompagnava tutti i giorni il piccolo Lorenzo a vedere le campane di San Salvatore suonare. Quel giorno, dal balcone più alto della casa, Agnese vide avvicinarsi verso Civitaretenga una nuvola grande e densa: capì in un istante che per la neve e il gelo nessuno sarebbe arrivato in paese per la Sagra del Cavolo…”
La storia del cavolo prendeva pian piano vita tra le mani del gruppo, che frammento dopo frammento, tesseva emozioni e connessioni e il cavolo, tornato tra le mani di Valentina, era diventato potentissimo: aveva dentro di sé la conoscenza, i ricordi e la fantasia dell’uomo.
“[…] la sagra alla fine non si fece, ma tutti insieme mangiammo cavoli e salsicce per tutta la sera. Tra il vino bianco e il vino rosso si fece mattina e ci portammo a casa la gioia della condivisione”.
Le storie sono il filo rosso che ci collega da millenni.
Tramandare la memoria è un’azione umana necessaria, sopratutto in periodi di forte confusione e perdizione.
È importante ritrovare un senso di appartenenza, di comunità, di connessione profonda col tutto e con i propri simili e il teatro, con il suo linguaggio universale, in questo è un maestro supremo.
Raccontandoci la storia del cavolo è iniziata così una condivisione, una connessione tra le persone e l’ambiente che ad ogni incontro di laboratorio di teatro si rafforza sempre di più.
Ci vediamo al prossimo incontro!